Dopo che la prima parte dell’articolo sul business design spiega da dove viene questa disciplina e come si è sviluppata negli ultimi vent’anni entriamo nel cuore della domanda principale :
“Cos’é il business designer, cosa fa e come migliora il processo di progettazione aziendale”.
La definizioni (come precedentemente scritto) solo molteplici, in quanto il mindset e soprattutto l’approccio di chi le delinea, devono tenere conto del background e delle finalità che si prefiggono.
Per fare un esempio (concedetemi il riassunto) la definizione di business design di IDEO è prettamente un’accezione rivolta al mindset; mentre la definizione di Strategyzer di Alex Osterwalder è circoscritta al processo; quella di Board of Innovation racchiude le due precedenti. Basta andare sui loro siti web per notare questi dettagli.
Cerchiamo di trovare una definizione semplice, per meglio farla comprendere al lettore: “il business design applica il design e il design thinking ai problemi del business d’ impresa con l’obiettivo di dare vita all’innovazione strategica, inserendo questo nel contesto di un processo di progettazione aziendale”.
A tale definizione il lavoro del business designer in pratica si traduce in :
- Fare una valutazione (assessment) per inquadrare la situazione, e dopo aver informato il cliente/azienda, dirigere (prendendo l’incarico dal committente) il processo di progettazione attraverso una visione a 360° aziendale per garantire che il design e la sua visualizzazione nel processo risolva i problemi aziendali in modo efficace.
- Successivamente traduce gli insight del cliente del cliente – azienda e del mercato, in le soluzioni progettuali di valore ed impatto comunicandolo con un linguaggio noto a gli stakeholder aziendali, per dimostrare che il design e il suo processo fornisce veramente soluzioni pratiche ai problemi aziendali.
- Infine applica con l’uso di metodologie scientifiche incentrate sull’uomo nella visione – lato sensu -cliente-centrica (concetto più ampio del servizio e/o prodotto – centrico) per avvalorare tramite sperimentazioni e test validati sul campo e nel mercato, che le componenti economiche e finanziarie del lavoro di progettazione per creare servizi e prodotti siano fattibili, e soprattutto sostenibili nel tempo.
Attraverso queste tre funzioni principali (ma ce ne sono ulteriori di accessorie) il business designer filtra il processo di progettazione attraverso una visione olistica e allo stesso tempo pratica (in questo la sua unicità) traducendo il mondo a volte astratto della creatività in strategie tangibili e misurabili riscontrabili con dati alla mano nel business.
E’ lapalissiano constatare che l’influenza del business designer (progettista aziendale o di affari) varia da progetto a progetto, a seconda di una serie di fattori: ambito e oggetto del progetto, contesto e aspettative del cliente, esperienza ed expertise del business designer, disponibilità e coinvolgimento di tutto o in parte il “team cross funzionale” del business designer (a seconda se l’intervento risulta leggero, profondo o totale).
D’altro canto sento spesso le persone dire: Qual è la differenza tra un consulente tradizionale e un business designer? La differenza rimarchevole è che i (veri) business designer hanno qualcosa e una marcia in più. Non risultando né specialisti né generalisti, ma risultando completi con i loro team interdisciplinari a 360°!
1) In primis, il business designer è centrato sui bisogni umani, non solo sulle tendenze del mercato. Hanno un mindset di un designer d’affari. Questo si traduce così: siccome tutte le aziende esistono per realizzare entrate e alla fine realizzare un profitto, non saranno sostenibili senza un approccio incentrato sull’uomo. Per questo i business designer agiscono oltre la redditività.
2) Seconda regola, sanno già sempre che è tutto da ridisegnare. Dal design thinking hanno appreso che i bisogni umani rimangono invariati nel tempo, mentre gli elementi socio-tecnologici evolvono costantemente. Il business designer evita quindi soluzioni per l’ottimizzazione del solo prodotto/servizio che non tiene conto delle esigenze umane e/o del cliente; e innova costruendo soluzioni che rispondono a tali esigenze intrinseche (che le imprese hanno sempre sottovalutato, gettando al vento ingenti somme di denaro).
3) Terza regola è quella di rendere tutto tangibile: trasformare idee e concetti (che sono solo assunzioni su carta) in prototipi, testati e convalidati in ambienti di vita reale per evitare incomprensioni e sorprese indesiderate (sperpero di denaro) portando impatti concreti di generazione di valore (che è qualcosa in più del semplice profitto). Parafrasando uno dei primi 7 valori di IDEO: “I business designer parlano di meno e fanno di più”.
4) E dulcis in fundo non hanno timore dell’ambiguità e dell’incertezza del mercato. Perché i business designer devono sempre preservare l’ambiguità, sperimentando ai limiti delle loro conoscenze e capacità, consentendo la libertà di vedere le cose in modo diverso e controintuitivo. Spostando gli atteggiamenti e le azioni dal “dovrebbe” al “potrebbe” si pongono come facilitatori della realtà complessa per trovare comunque degli impatti di fattibilità nel breve e nel medio lungo periodo (quest’ultimo osservato sempre con la lente dell’esploratore scrupoloso).
Spero che ora sia più chiaro cos’è il business designe(er) cosa fa, e come può influenzare ed essere decisivo rispetto a un consulente aziendale tradizionale.
Nella terza parte (il prossimo articolo sul business design) tenterò una prefigurazione del futuro prossimo di questa meravigliosa disciplina – il business design – sempre aperta a nuovi apprendimenti da tutti i campi del business.
Stefano Antonio Masci
Co- founder Innovation strategist
Business Model Italia